Lo Studio Tax Fin si è occupato della collaborazione volontaria per la regolarizzazione dei capitali ed investimenti detenuti all’estero sin dall’anno 2013, ben tre anni fa, quando ancora non esistevano sia la procedura emendata dalla legge 186/2014 che quella antecedente (D.L. 4 del 2014) presentando complessivamente 70 istanze.
Nel 2013 era possibile regolarizzare le omissioni che scaturivano dalla mancata compilazione del quadro RW o dalla mancata indicazione di redditi in dichiarazione, unicamente seguendo le indicazioni della C.M. n. 38/E pubblicata nel dicembre 2013 che basava la possibilità di regolarizzarsi mediante la disposizione prevista nel quarto comma dell’art. 7 del D.Lgs. 472/97 secondo il quale l’Agenzia delle Entrate riconosceva una riduzione del 50% delle sanzioni a sua discrezionalità per coloro che non avevano particolari precedenti fiscali e che sostanzialmente si autodenunciavano, appunto collaboravano.
Lo spirito, pertanto, della collaborazione non è stato e non è tutt’ora quello di un condono alla vecchia maniera, in cui veniva richiesta solo una certa percentuale del capitale detenuto all’estero con la logica di “chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto”. Da questo modo di chiudere la partita con il Fisco emergeva un’evidente iniquità tra coloro che erano stati sempre ligi e coloro che furbescamente hanno nascosto redditi all’estero con lo scopo di evadere molto di più rispetto alle basse percentuali richieste nelle procedure di condono.
Tuttavia, se da una parte la collaborazione volontaria disinnesca questa iniquità, in quanto basata sulla logica di ricostruire e richiedere tutte le imposte dovute in passato (per gli anni ancora accertabili) seppur con una riduzione delle sanzioni, dall’altra ha comunque creato comunque delle iniquità dovute alla difficoltà di applicazione della normativa da parte degli Uffici.
Dopo che il legislatore ha capito che la collaborazione poteva essere rivolta non solo alle “grandi famiglie imprenditoriali” italiane (che regolarizzavano quando ancora la procedura non era legge attraverso la citata C.M 38 del 2013), ma anche alla massa dei contribuenti con conti correnti all’estero non indicati nel quadro RW, ha prima emanato il D.L. 4 in via sperimentale (è durato solamente 3 mesi) appurando che avrebbe dovuto concedere qualcosa in più in termini sanzionatori e di prescrizione per poter rendere la procedura più appetibile, ed in seguito la L. 186/2014 che interveniva direttamente nell’impianto normativo del D.L. 167/90 (norma sul monitoraggio fiscale che ha istituito il quadro RW).
Tale ultima definitiva procedura è stata oggetto di molteplici circolari da parte dell’Agenzia delle Entrate per diramare diversi dubbi non solo sulla sua applicabilità, ma anche sul comportamento che avrebbe assunto l’Agenzia delle Entrate di fronte a talune fattispecie per così dire spigolose.
Le interpretazioni susseguitesi, purtroppo, hanno quasi sempre penalizzato il contribuente. Ci riferiamo in particolare a:
– il mancato riconoscimento delle ritenute d’acconto operate all’estero (in primis l’euroritenuta svizzera) nonostante le Convenzioni Internazionali (di rango superiore a livello normativa rispetto alla normativa interna) prevedessero la possibilità di evitare la doppia imposizione e riconoscerne il credito d’imposta;
– il mancato riconoscimento delle minusvalenze da capital gain da riportare nei cinque anni successivi in quanto non indicate in dichiarazione dei redditi;
– l’impossibilità di evitare il raddoppio dei termini e delle sanzioni di cui al D.L. 78/2019 per alcuni paesi che, nonostante l’accordo di scambio di informazioni con l’Italia, non hanno ratificato precisamente come previsto dal modello OCSE.

Queste sono le più evidenti penalizzazioni, ma vanno segnalati anche casi minoritari in cui non è stato possibile esercitare concretamente l’istituto del contraddittorio sulla esenzione di talune tipologie di reddito. Addirittura ci sono stati casi in cui l’Agenzia delle Entrate si è letteralmente rimangiata quanto affermato negli inviti a comparire tornando su talune fattispecie con la scusa che quanto accertato in sede di voluntary si considera accertamento parziale.

Infine, segnaliamo il comportamento difforme tra un ufficio ed un altro dell’Agenzia delle Entrate (anche della stessa città) sulle stesse materie e fattispecie (non tutti gli uffici infatti hanno disconosciuto il credito d’imposta estero per le ritenute subite).

In conclusione, se da un lato accogliamo con un plauso la procedura di collaborazione volontaria volta a far emergere le imposte non pagate e farle versare tutte, dall’altra la sua concreta applicazione ha creato spesso delle iniquità o delle inspiegabili rigidità assolutamente agli antipodi rispetto alla logica collaborativa tanto evidenziata nella circolare 16/E del 2016.

Vogliamo sperare che con una eventuale voluntary 2.0, che chiaramente ci attendiamo presenterà meno facilitazioni in termini sanzionatori rispetto alla voluntary 1.0, induca l’Agenzia delle Entrate ad eliminare le menzionate rigidità al fine di poter equiparare, in termini di credibilità, la collaborazione volontaria nostrana alle voluntary adottate dagli altri paesi nel mondo (vedi USA, Germania Francia, ecc..).