L’art. 3 della legge 186/2014 prevede il nuovo reato di “autoriciclaggio” del quale l’uomo della strada si chiede il significato leggendo la parola sui giornali.
Ebbene, esso prevede che chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo (che chiameremo delitto presupposto), impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza, compie un delitto aggiuntivo, quello di autoriciclaggio.
Sostanzialmente, si tratta di un reato che sorge a seguito di un altro reato (ad esempio in materia tributaria l’uso di fatture false, o l’infedeltà di somme rilevanti nella dichiarazione iva o dei redditi). Il ricavato da tale delitto, se viene occultato o impiegato, onde ostacolare l’identificazione del reo che ne può disporre, incorre nell’autoriciclaggio rischiando, oltre alla pena specifica per il primo reato presupposto, anche la pena aggiuntiva della reclusione per autoriciclaggio che va da uno a quattro anni (o superiore se vi sono connotati di tipo “mafioso”), con articolazione di varie attenuanti e aggravanti.
Fuori da quanto detto, non sussiste autoriciclaggio se il denaro o i beni, o le altre utilità, vengono destinati alla mera utilizzazione o godimento personale. Ciò in quanto, verosimilmente, gli investigatori sono agevolati nello scoprire il reo del primo, unico, reato il quale che non va punito con due pene.
Il godimento personale, esimente che ha subito notevoli critiche dall’opinione pubblica, va letteralmente riferito alle situazioni in cui chi ha ricevuto le somme provenienti dal delitto in cui ha concorso utilizza il denaro o le cose da esso provenienti per la propria soddisfazione: ad esempio, acquisto di autovettura o di appartamento, viaggio, donativi ad altre persone.